Dopo quasi venti ore di viaggio ingiro per aeroporti atterro felicemente in quel di Manila alle undici di sera, effettuati i controlli doganali di rito mi sono diretto all’uscita del terminal dove ad attendermi c’era Jehan, una ragazza filippina che conobbi tramite un post su Couchsurfing in Cambogia quando visitai Angkor e quando le comunicai che avrei visitato le Filippine si è offerta come guida turistica. Approfittando del fatto che io arrivavo esattamente di venerdì sera lei era riuscita ad organizzare un week end lungo senza dovermi preoccupare dei particolari, unici indizi che mi aveva fornito erano: surf e barbeque quindi dopo un pit stop per una doccia veloce ed una penichella, giusto per recuperare un pò di forze, abbiamo caricato i bagagli e Claudyl, un’amica di Jehan che si è unita alla nostra escursione e nel cuore della notte ci siamo messi in viaggio.
Ero elettrizzato, viaggiare di notte verso una destinazione ignota mi faceva sentire come un bambino, siccome ero seduto al posto del navigatore mi sono prodotto in un serratissimo interrogatorio anche per tenere compagnia a Jehan che era la driver della spedizione. All’alba abbiamo attraversato Subic bay e dopo una sosta per farmi un caffè una sigaretta e soprattutto quattro passi, cominciavo a sentire le piaghe da decubito alle chiappe dopo tante ore seduto. A mattina inoltrata finalmente eravamo arrivati a San Antonio, dove ci siamo recati al mercato cittadino e abbiamo fatto scorte per la giornata, un tonno fresco e tutto l’occorrente per un bel pick nick alla modica cifra di 5 euri, già avevo l’acquolina!! Fatti tutti gli acquisti ci siamo incontrati con la nostra guida che ci avrebbe portato fino alle Capones Islands. Ripartiti da San Antonio abbiamo preso la strada che porta al villaggio di Pindaquit dove una bangka ci attendeva per salpare. Non potevo essere più fortunato ero atterrato da meno di 12 ore e già avevo i piedi affondati nella sabbia in una giornata splendida giornata di sole. Acque color zaffiro si aprivano alla passaggio della prua del bangka che avanzando borbottando pigramente tra le onde alzate dalla fresca brezza mattutina, il sole splendeva gagliardo in un cielo terso sgombro di nuvole, guardando in mare sembrava che i raggi solari si tuffassero per poi sciogliersi in nuvole d’orate man mano che s’inabissavano ma forse era il jet lag che cominciava a chiedere il conto ma non ci badavo perchè ero persuaso da l’energia incredibile che mi dava ‘osservare la bellezza selvaggia di quella costa che sembrava vergine ed inesplorata.
Siamo approdati alla prima isola dopo circa venti minuti di traversata e finalmente ho potuto fare il primo bagno delle vacanze e godere di una sosta dove mi sono steso ed ho sentito il calore della sabbia sulla schiena, felice finalmente di sentirmi libero e leggero, ma purtroppo la nostra tabella di marcia non faceva sconti quindi abbiamo risalpato le ancore per l’isola del faro dove siamo approdati, qualche minuto più tardi, su una spiaggia che sembrava un vero e proprio cimitero d’infradito spaiati probabilmente strappati dalla risacca ai turisti che non si sono mai presi la briga di recuperarli. Seguendo un sentiero si arriva al centro dell’isola dove si trova il complesso che inaugurato nel 1890 ancora oggi svolge il suo dovere di avvetimento per i naviganti, anche se la casa del guardiano giace in stato di totale abbandono, la lanterna comunque è alimentata da un generatore a celle solari ed è connessa alla guardia costiera in tempo reale che in caso di malfunzionamento possono intervenire prontamente. Dietro alla casa del custode si erge la torre alla quale si accede tramite una porticina aperta dalla quale si alza una vecchia e pesante scala a chiocciola in ferro battuto che non ha mancato di regalarmi qualche sudore freddo, più si sale più ci si rende conto che quella scala consumata dal tempo e dalla salsedine traballa……… ma la vista che si apre agli occhi una volta arrivati in cima ripaga dei piccoli brividi.
Ridendo e scherzando si era fatta una certa ora ed il mio stomaco cominciava a brontolare, l’ultimo pasto l’avevo fatto in aereo e così abbiamo fatto rotta per Nagsasa Cove, baietta della quale mi sono subito innamorato, una lunga lingua di sabbia bianca arroventata dal sole di mezzogiorno incorniciata da due scogliere che si ergono alle due estremità, dietro la spiaggia una lussureggiante pineta che prometteva una deliziosa frescura nelle ore più opprimenti della giornata. Durante il week end è frequentato da famiglie che vanno li e semplicemente piantano le tende si rilassano al fresco e cominciano a grigliare e fare festa senza comunque rovinare l’atmosfera di quiete e rilassatezza. Piantato il nostro piccolo accampamento ho lasciato che le ragazze si occupassero del pranzo, grato del fatto di non dover essere io come al solito ad occuparmi di tutto mi sono rilassato un pò godendomi un pò di frescura sotto la pineta e curiosando un poco in giro cosa cuoceva sugli altri barbeque, posso assicurarvi che i profumi che si alzavano nelle varie cucine da campo erano più che stuzzicanti!! Quando poi finalmente era tutto pronto ci siamo buttati con appetito letteralmente sbranando il pesce con tutti gli intingoli deliziosi che le ragazze avevano organizzato facendogli l’onore che meritavano. Rinfrancato dal pasto era ora di tornare a Pindaquit per riprendere la strada e risaliti sulla bagka mi sono perso nel panorama fantastico di quel primo intenso giorno di viaggio, che non era ancora terminato, dovevamo coprire ancora un pugno di km destinazione Liw-Liwa per godere del tramonto e di un meritato riposo perchè finalmente stanchezza e jet lag mi avevano raggiunto.